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I RAGAZZI DI UNA VOLTA
ERANO ALLENATI ALLA CONQUISTA

di Luigi Picheca

 

Negli anni ’60 c’erano ancora in circolazione i vecchi tram che portavano avanti e indietro migliaia di operai da Milano verso l’hinterland e viceversa.
Erano gli anni del boom economico e le industrie andavano a gonfie vele richiamando dal sud e dalle regioni del Nord meno industrializzate un sacco di gente che per opportunità andavano a vivere nei paesi della cintura e anche più lontano, senza contare quelli che venivano dalla Brianza e dalla bergamasca che riempivano i treni e questi tram.
Erano i mezzi più economici ma avevano il difetto di essere lenti e scomodi, due caratteristiche che rendevano gli spostamenti dei pendolari esasperanti.
Gli studenti erano una componente in più che riempivano ulteriormente gli spazi già esigui a disposizione, ma in inverno era quasi un obbligo servirsi di questi mezzi pubblici perché il clima era più rigido di oggi e la neve e la nebbia non si facevano attendere rendendo le strade difficilmente percorribili per bici e moto, i veicoli più diffusi del tempo.
Perfino io, intollerante a bus e tram, non potevo fare a meno di servirmi dei tram che collegavano Monza con Sesto quando frequentavo le scuole medie e vi garantisco che non era facile trovare posto in quella che sembrava più una scatola di sardine che un tram. Mi davano fastidio gli starnuti della gente che non si premurava certo di evitare chi le stava davanti e ricevere il suo muco nel coppino.
Quando c’erano gli scioperi dei metalmeccanici i tram erano più vuoti e allora si poteva trovare posto sui sedili in legno, non erano comodi ma la conquista di un posto a sedere era così rara che ne valeva la pena. 

Qualche anno più tardi mi sono iscritto alle superiori serali, mio padre era morto da poco e mi ero trovato un lavoro per aiutare la famiglia. Ci eravamo spostati a Vimercate perché gli affitti delle case erano più convenienti però per me il viaggio di ritorno da Milano con l’ultimo tram della sera era quasi d’obbligo perché i 30 chilometri che separavano la zona di Lambrate da Vimercate erano duri da percorrere in certe giornate.
C’era l’handicap dei tre chilometri da fare a piedi dalla stazione di arrivo del tram a casa mia e, una volta sceso dal mezzo, ci voleva ancora una mezz’oretta di buon cammino perché arrivassi finalmente a casa a mangiare qualcosa e poi di corsa a letto. 

Ho sempre avuto la curiosità di sapere perché questi tram venissero chiamati con questo nome buffo e ho trovato un paio d versioni.

La prima racconta che era dovuto all’incedere traballante dei vecchi tram a vapore che ricordavano quello di chi ha una gamba di legno. In quegli anni erano numerosi i reduci di guerra che avevano avuto la sfortuna di perdere una gamba e il paragone, pur essendo irrispettoso, calzava.

Il secondo dice che quando questi tram erano senza porte e la gente ci saliva al volo, non era raro che qualcuno scivolasse sotto le ruote perdendo una gamba.

 

La fatica è una buona compagna di viaggio che aiuta a riconoscere il valore delle cose, rende conquistatori consapevoli  del bene che si va a prendere. Oggi si pensa sempre più che il tutto subito e senza sforzo sia una conquista della modernità, ma forse è un’illusoria magia che lascia costantemente  insoddisfatti, in perenne attesa che le cose vengano a noi …